Si ferma a Roma l’imbattibilità di Cioffi, che durava da 4 gare, e anche quella dell’Udinese, la quale allargando il discorso anche alla gestione precedente, non conosceva la sconfitta da almeno 2 mesi, ovvero dalla brutta caduta di Napoli. Va detto che il filotto di gare che attendevano il nuovo allenatore bianconero non era tra i più facili, e anzi, senza dubbio sono stati raccolti più punti del preventivato, se consideriamo il blitz di Milano e pari (che poi sa di vittoria davvero mancata per poco) con l’Atalanta. Fare punti a Roma era impossibile? Senza dubbio difficile. La squadra di Mourihno per l’occasione aveva recuperato tutti i suoi titolari, da Pellegrini a Dybala (che all’Udinese, si sa, fa sempre male) mentre addirittura Spinazzola aveva ritrovato la titolarità. Per contro l’Udinese oltre alle solite e congenite assenze vedeva aggiungersi anche quella pesante del Tucu Pereyra. Impresa difficile certo, ma si sa la palla è rotonda e le buone vibrazioni che hanno scosso l’ambiente bianconero nelle prime settimane di nuova gestione Cioffi, lasciavano comunque propositi ottimistici.
Dove e in cosa è mancata invece l’Udinese alla luce della sconfitta di domenica? Innanzitutto l’atteggiamento. L’atteggiamento è stato l’ingrediente principe della ricetta di Cioffi, quello utilizzato con maggior dosaggio, e ribadito sempre per primo, come nelle composizioni di qualsiasi struttura alimentare laddove ad aprire la lista degli ingredienti è sempre quello che con maggior quantità viene miscelato per ottenere il prodotto finale. L’atteggiamento prima dell’aspetto tattico, tecnico, fisico etc etc. Ebbene nel primo tempo questo ingrediente è venuto a mancare, e la prima frazione ci ha restituito un’Udinese insipida, insicura, titubante e insolitamente, per gli standard di Cioffi, attendista. Cioffi si è dato come spiegazione il fatto di aver visto un’Udinese che pensava, pure troppo invece di agire. Un attendismo che, non me ne voglia Cioffi, si è palesato tante volte con Sottil. Quell’insostenibile sensazione di attesa, di non si sa bene cosa, che ti lascia con l’impressione di non avere ben chiaro in testa quale sia il piano gara. Vecchi retaggi della precedente gestione forse, o il seme della sconfitta che è ancora difficile da debellare in seno al gruppo.
La Roma presentava uno schieramento speculare a quello dell’Udinese, e quando ciò avviene i duelli individuali la fanno da padrona. La Roma disponeva anche di un’altra componente accostabile all’Udinese: la fisicità. La struttura fisica. Quella giallorossa è una delle poche squadre che può tenere testa, nel vero senso della parola, all’Udinese nel gioco aereo; la squadra friulana raramente trema sui piazzati, e raramente regala sensazioni di insicurezza sulle palle inattive o sui corner, questo va detto. Domenica proprio in questo particolare ha sofferto, anche perchè di fronte aveva una squadra che proprio sulle palle inattive costruisce le sue fortune. La squadra di Mourihno non palleggia; non dispone di trame di gioco che rubano l’occhio. Molto è lasciato all’inziativa dei fuoriclasse da Dybala a Lukaku a Pellegrini; molto è lasciato alle palle inattive. Non è un caso che in un primo tempo dove l’Udinese non ha accelerato sulle fasce, non ha saputo verticalizzare e che si è limitata a difendere in maniera posizionale con un blocco medio basso, abbia concesso le briciole o meno ai giallorossi con palla in movimento, e sia caduta o abbia rischiato di farlo solo su corner (colpo di testa pericoloso di Mancini ) e sulla punizione battuta magistralmente da Dybala, con Mancini sempre più lesto a divincolarsi dalla guardia di Bjiol, e con Perez che scappando prima rompeva la linea dell’off side, tenendo appunto in gioco il romanista. Il primo morso della Lupa è andato in scena quindi su gioco da fermo. Il secondo, invece, ha mostrato un’anomalia nello schema giallorosso. Una manovra in verticale a 4 tocchi degna del miglior Barcellona di Guardiola: Bove, Azmoun, Lukaku, Dybala gol. Un gioiello. Una gemma che raramente il non gioco del Mou mette in opera. E poco si può imputare a chi ha cercato eventuali responsabilità di un bianconero piuttosto che di un altro, a volte è anche giusto applaudire l’avversario se è stato bravo. D’altronde è più accettabile prendere gol da una squadra che si dimostra davvero brava a costruirselo, piuttosto che farselo da soli, magari contro squadre neopromosse come è già accaduto quest’anno. Eravamo all’80’ e nel mezzo c’era stata anche l’Udinese.
L’atteggiamento, quell’ingrediente della ricetta Cioffi che era mancato nella prima frazione, è tornato nel secondo tempo, e in buone dosi. Si sono rivisti i quinti attaccare la profondità e vincere i duelli con i dirimpettai; la mediana duettare e tagliare fuori il centrocampo giallorosso con buoni fraseggi, e recuperi palla più alti ed efficaci. Non è un caso che Thauvin prima di avvitarsi sul bellissimo cross di Pajero avesse suonato la carica con una conclusione da fuori che aveva spaventato Rui Patricio, e Walace lo avesse impegnato subito dopo. Per 30 ‘ si è rivista l’Udinese andata in onda con l’Atalanta e col Milan; tutto questo almeno fino al gol strepitoso di Dybala. Il gol che ha marcato il confine tra una squadra forte e al completo e un’altra che denunciava qualche problematica. Il 3 a 1 di El Sharawy è nato anche dalla volontà da parte dei bianconeri di riacciuffarla nuovamente e allora ecco cosa ci lascia questa sfida: il bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno fate voi. L’apatia del primo tempo, regalato come sussurrato anche dal tecnico fiorentino ai microfoni, laddove la squadra si è limitata ad una sola fase, e l’intraprendenza mostrata nella ripresa.
E’ sicuramente dal secondo tempo che si dovrà ripartire per riprendere a correre quanto prima a cominciare dalla prossima sfida contro il Verona; eh già… le sfide con le big sono terminate, per ora; a Cioffi si presenta per la prima volta una gara realmente alla portata, anche più della prima dal suo ritorno in quel di Monza, attenzione però, contro gli scaligeri il gioco attendo e riparto andrà rivisto: con il Verona l’Udinese dovrà fare la partita, interpretare uno spartito maschio e autorevole perchè pareggiare non basta: lo si faceva anche prima; ora servono i tre punti, e mancano al Friuli ormai da così tanto tempo che ci infastidisce ricordarlo. Vogliamo guardare avanti e non indietro, a patto di mantenere la fame e l’atteggiamento sempre come primi ingredienti nel prodotto da servire, in pasto ai tifosi.
Paolo Blasotti