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Udinese…via al mare

Nel consueto elettroencefalogramma del campionato bianconero, una volta raggiunto l'obbiettivo minimo va precisato, che vede picchi bassi, ultimamente troppi, e picchi alti, sempre più radi, non poteva mancare un nuovo sussulto verso il basso
Monica Tosolini

Nel consueto elettroencefalogramma del campionato bianconero, una volta raggiunto l’obbiettivo minimo va precisato, che vede picchi bassi, ultimamente troppi, e picchi alti, sempre più radi, non poteva mancare un nuovo sussulto verso il basso. Allo stadio di via del Mare, tra le motivazioni di una squadra ancora in lotta per la salvezza, e con un trend negativo ormai da otto giornate, e quelle di una squadra che potrebbe agganciare il treno dell’ottavo posto, vincono le prime.

E’ sempre così: l’obiettivo della salvezza tira fuori più testosterone, mentre l’effimera meta della colonna di sinistra, seppur alla portata, rimanda all’obiettivo minimo già raggiunto da tempo, che riempie di tranquillanti le vene dei giocatori della squadra di turno. L’Udinese non fa eccezione. Le assenze pesanti nel reparto offensivo, spiegano fino ad un certo punto la prestazione da ciabatte e occhiali da sole di un’Udinese più sulla via del mare che al “ Via del Mare “.

L’angolo tattico

Baroni è notoriamente un tecnico giochista, ma il momentaccio della squadra lo costringe a fare di necessità virtù, comandando un assalto garibaldino nella metà campo bianconera, con Strefezza e Di francesco a pressare alto sui braccetti di Sottil, e Hjulmand a schermare il primo scarico friulano in uscita ovvero Walace. Un piano tutto pancia e poca testa insomma. Considerando che davanti l’Udinese gioca con Nestorowski e quindi priva di fatto di un terminale fisico per la manovra spalle la porta, ma anche di un riferimento che attacca la profondità (di fatto il macedone ti lascia in dieci a meno che non si giochi nell’area avversaria laddove il suo istinto da vecchio rapace può ancora qualcosa) l’uscita bassa in fraseggio da parte degli uomini di Sottil dovrebbe conoscere come unica via i quinti, e quindi le mezze ali, insomma il caro vecchio fraseggio.

A causa di un immobilismo imperante delle mezze ali, in particolare di Samardzic (Lovric invece qualcosa combina) , il tridente difensivo bianconero mal si fida a scaricare sui quinti, sempre braccati dagli esterni salentini, e a causa di ciò hanno continuato ad abusare del torello, facendo danzare pericolosamente la palla davanti l’area di rigore, a caccia dello scivolone che puntualmente arriva e che genera gli unici pericoli di un Lecce altrimenti incapace di costruire gioco.

Fa specie come il possesso palla sia appannaggio degli uomini di Sottil, che però ristagna nella propria metà campo, e curioso notare come entrambe le squadre riescano a fare meglio sulle seconde palle, riconquistate sul pressing, mentre si inguaiano da sole qualora si ritrovano nella condizione di dover orchestrare la manovra. Non un buon segno per due tecnici giochisti come Baroni e Sottil.

In tutto questo l’Udinese disporrebbe di un tasso tecnico superiore ai salentini, e sono sufficienti un paio di sgasate una volta usciti dalla cortina di pressing giallorossa, per generare seri pericoli dalle parti di Falcone, mentre per tutto il primo tempo Silvestri non deve mai intervenire, anche se su un paio di tiri cross di Strefezza qualche filo d’argento si deve essere insinuato tra la folta acconciatura intrecciata del portiere friulano. Anche il ciuffo di Sottil deve essersi imbiancato nel primo tempo, purtroppo però durante la sosta tra i due tempi non riesce a riportare in riga una squadra che fa di tutto per agevolare la marcatura di una formazione, quella salentina, che denuncia davvero grosse lacune in termini di manovra, e che al netto di una superiore garra, non sa proporre di suo argomenti convincenti per battere a rete.

Ci vuole un fallo da rigore di Udogie, che travolge, anziché accompagnare sul fondo, Gendrey regalando a Strefezza, una meritata chance dal dischetto, che decide la gara. Le girandole si Sottil, che passa prima al 343 con Ebosele alto a sinistra e il fantasma di Thauvin a destra, e poi al 442, poco aggiungono alla gara, se non qualche sgasata dell’irlandese di colore, e l’ccasionissima di Ezhibue.

In definitiva, vince la squadra con più voglia e con più acqua alla gola. E’ vero che senza l’intero comparto d’attacco è dura rendersi pericolosi e orchestrare la manovra, ma questa rimaneva una ​ partita che con solo il minimo indispensabile si portava a casa con un pareggio, che forse avrebbe fatto storcere il naso viste le aspettative della vigilia (che però avrebbero tenuto conto della presenza di Beto) ma che avrebbe mosso comunque la classifica offrendo continuità di risultati.

L’Udinese, insomma, incappa in un’altra trasferta abulica, sotto ritmo, costellata da imprecisioni nella costruzione dal basso, come a Roma, e stavolta nemmeno Sottil difende i suoi ragazzi, a differenza di quanto argomentato dopo il deludente 3 a 0 dell’Olimpico. I problemi di questa squadra, aldila degli assenti che comunque hanno pesato, sta nella capacità di mantenere una concentrazione adeguata, dovuta all’incapacità di mettere a fuoco un obbiettivo concreto. E’ la tranquilla salvezza, risultato conseguito da tempo, o l’ottavo posto che rappresenterebbe un vero upgrade rispetto agli ultimi deludenti campionati? E’ questo che pare non chiaro; poiché se ti prefiggi un obbiettivo cerchi di perseguirlo con il giusto temperamento. Alcune ultime prestazioni denotano un distacco della spina da parte di parecchi elementi, che la ritrovano saltuariamente dietro la minaccia effimera di qualche ritiro, per poi smarrirla ai primi lampi di luce prodotti dalla squadra.

La sindrome del potrei ma non voglio, oppure del “ si ci proviamo ma non serve dannarsi”. Purtroppo nel calcio dannarsi è doveroso, sempre e con chiunque.

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