Dusan Basta ha lasciato il calcio giocato e, dalla scorsa estate, lavora per la P&P Management del suo ex procuratore Federico Pastorello e per lui cerca talenti in Serbia. La ‘furia bionda’ racconta la sua storia al Messaggero Veneto dalla fine, da quando ha deciso di lasciare: “In teoria avrei potuto fare altre due stagioni, fisicamente stavo bene. Avevo ricevuto un’offerta dal Parma, ma poi avevo preferito restare alla Lazio; a gennaio del 2019 il Bologna mi propose un contratto di sei mesi, io ne chiedevo uno fino al 2020. Non abbiamo trovato l’accordo e a quel punto ho preferito chiudere. Non mi sono mai mosso senza moglie e figli al seguito. Adesso ne ho quattro e, vista l’opportunità datami da Pastorello, ho pensato che rientrare a Belgrado era la soluzione migliore. Ma in Italia ho ancora casa sia a Udine che a Roma”.
Basta si dice “felice di quello che ho fatto, anche perché a un certo punto del mio cammino, quando era all’Udinese, ho temuto di smettere con largo anticipo”.
Il suo arrivo a Udine nel 2008: “Avevo un’offerta economicamente molto più importante da un club russo, ma io volevo giocare in Italia e accettai l’offerta dei Pozzo. Mister Marino e la società scelsero Sanchez e Ighalo come extracomunitari e io andai a Lecce, allenatore Beretta. Giocai solo sette partite, ma avrei meritato molto più spazio per come lavoravo durante la settimana. Però imparai l’italiano, cosa che a Udine era più complicata avendo in squadra Handanovic e Lukovic che parlavano la mia lingua. Nel 2009 la società e Marino volevano mandarmi ancora in prestito. Io mi oppongo e decido di restare. I primi due giorni di ritiro nemmeno mi cambio. Poi entro a far parte del gruppo. Con il Milan si fa male Isla entro al suo posto, vinciamo e da quel momento gioco 16 partite consecutive”.
Ricordi: il più brutto: “L’eliminazione dal preliminare di Champions League con lo Sporting Braga. Non fu solo mister Guidolin a vivere giorni tristissimi, ma tutto il gruppo”.
Il calciatore più forte con il quale ha giocato, “Di Natale. Talento allo stato puro. In allenamento faceva cose pazzesche, alle volte ci fermavamo ad applaudire le giocate di Totò per due minuti. Ci aggiungerei anche Klose, un professionista esemplare dedito al lavoro”.
Il segreto di quella Udinese? “C’era una buona qualità di giocatori e si era formato anche un grande gruppo. Una volta a settimana andavamo tutti assieme a cena, c’erano Belardi e Corradi che ci facevano da guida e che ebbero un compito molto importante in quella squadra. Quel gruppo ha fatto la storia e io ne sono molto orgoglioso. Quarto posto il primo anno, terzi il secondo, quinti il terzo con otto vittorie consecutive. Ovviamente c’è anche il merito dell’allenatore”.
L’Udinese di oggi, rispetto alla sua, fa fatica a stare più in alto in classifica. “A Udine non ti chiederanno mai in partenza un posto in Europa, magari stare più vicino alle prime sei-sette sì. Io spero di rivedere l’Udinese più in alto. In Friuli ho ancora casa, sono affezionato alla gente e ci torno sempre molto volentieri”.