Totò Di Natale, il simbolo di un calcio che non c’è più, dal 2004 al 2015 ha fatto la storia dell’Udinese. Alla vigilia del 46esimo compleanno, a Tuttosport si è raccontato e ha raccontato il calcio secondo lui. Partendo proprio dalla sua scelta di Udine: «Sono sempre stato molto legato ai tifosi e alla città. A Udine si vive bene, lì sono cresciuto come uomo e come calciatore, ed è lì che ho costruito la mia famiglia. In quegli anni poi la squadra era molto forte, ogni stagione lottavamo per un posto in Europa. La famiglia Pozzo mi ha sempre trattato come un figlio. Quando ci fu la possibilità di andare alla Juve, la volontà mia e della società fu quella di continuare insieme. E così abbiamo fatto».
Scelta che rifarebbe, come quella di non giocare nella sua Napoli: «Giocare a Napoli non è facile, specie se sei napoletano: soffri di più quando le cose vanno male. È una maglia pesante da indossare per chi è nato e cresciuto lì. Ho preferito esserne tifoso, e lo sono tuttora».
Spalletti, il tecnico che lo ha voluto a Udine, e la Nazionale: «Sapevo che il mister avrebbe vinto il campionato. È un grande allenatore, ha occhi ovunque, sta 24 ore sul campo per curare ogni singolo particolare. Vederlo vincere a Napoli per me è stato speciale. Merito suo, dello staff e della società: tutti insieme hanno fatto un lavoro eccezionale».
Il suo futuro è delineato: «Vorrei continuare a lavorare come dirigente. Ho provato a fare l’allenatore ma ho capito che non faceva per me. Troppi pensieri, non riuscivo a godermi la famiglia, e così ho fatto un passo indietro. Al Donatello mi trovo benissimo, spero che negli anni continueremo a scovare talenti che possano fare la differenza in Serie A».