Mentre Figc e Lega si ingegnano per tentare di compilare il calendario della ripartenza in A e la commissione medica federale mette a punto il protocollo per la ripresa degli allenamenti, Marco Nappi fa sentire il suo ‘no’ convinto al ritorno in campo. L’ex attaccante dell’Udinese, oggi allenatore dell’Under 17 del BSU Beijing (la città dista 1000 km da Wuhan), è rientrato in Italia il 18 gennaio in occasione del capodanno cinese. Da allora è rimasto bloccato a Roma, città in cui vive e da dove continua a rimanere in contatto con il club e i suoi collaboratori cinesi in attesa di avere l’ok per il ritorno nel Paese asiatico. In esclusiva a udineseblog.it racconta innanzitutto la situazione là: “In questo momento si stanno allenando solamente le prime squadre e le squadre Primavera. La ripresa del campionato dovrebbe avvenire a metà maggio”.
Quand’è che si è fermato tutto in Cina? “Il 23 gennaio. Io sono rientrato a Roma il 18 e poco dopo c’è stata la chiusura totale. Si è fermato tutto per 55 giorni. Adesso so che la gente può uscire, va nei parchi, sempre indossando mascherine e guanti. Si cerca di tornare piano piano alla normalità, ma c’è paura. Giusto per fare un esempio: ieri mi è arrivata una circolare del 26 marzo in cui, sostanzialmente, mi si diceva che se volevo rientrare, accettavo di assumermi tutti i rischi. Di fatto, io attendo l’Ok del mio club e non so ancora per quando potrò averlo. Dico la verità: avrei preferito rimanere bloccato là, mi sentivo più sicuro. Lì, quando prendono delle decisioni, sono tutti ligi nel rispettarle; qui in Italia, invece, siamo un po’ troppo faciloni di natura. In questo caso, l’abbiamo vista prima come una semplice influenza, poi quando ci siamo resi conto e abbiamo visto che in Lombardia cominciavano a esserci molti morti per il Covid 19, abbiamo iniziato a fare qualcosina”.
Adesso anche l’Italia si è fermata: “Sì, ma ancora in tanti non rispettano le direttive del Governo. Qui in Italia noi cerchiamo di fare sempre un po’ i furbi, e non riusciamo a capire che dobbiamo essere molto responsabili su questa cosa. Io ricevo tanti messaggi dai miei ragazzi che sono in Cina e che mi esortano a stare a casa, al sicuro. Mi dicono così perchè loro ci sono già passati”.
Il calcio, invece, cerca il modo per ripartire: “Ma ragazzi, guardiamoci negli occhi, pensiamo che ci sono tanti giocatori che hanno preso il Covid. Mi ha fatto molto pensare l’intervista di Dybala, che è stato colpito dal coronavirus: è stato molto male, aveva dolori in tutto il corpo. Rendiamoci conto che questa non è una semplice influenza. Anche le istituzioni, la Federcalcio: è un grosso rischio far ricominciare il campionato. Pensiamo a cosa potrebbe succedere se, pur giocando a porte chiuse, un solo giocatore tornasse ad essere positivo, si dovrebbe sospendere tutto. Ma perchè dobbiamo rischiare? Pensate che un medico possa dare il via libera e prendersi la responsabilità di mandare in campo la squadra? Non credo ci possa essere un medico tanto folle da rischiare la galera. Per me il 2019/20 deve essere l’anno calcistico della Pandemia. Non si assegna lo scudetto; nessuno va in Europa, nessuno retrocede e si ricomincia tutto quando sarà il momento adatto a farlo, in sicurezza. Una sicurezza che deve essere per tutti”.
Qui si discute molto anche sulla questione dei tagli agli stipendi: “Ma di che stiamo a parlare? Io alleno in Cina per poter lavorare. Là ci hanno decurtato lo stipendio del 70%. Lo accetto, come fanno tutti. Nessuno dice niente. Questo hanno deciso, questo si fa. Insomma, davanti ad una situazione del genere, direi che i problemi veri sono altri”.