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Peccato sia finita!

Lo dico col cuore in mano, peccato che sia finita!
Monica Tosolini

Lo dico col cuore in mano, peccato che sia finita!

Mancava il pubblico, mancava la condizione atletica (ad altri più che a noi), ma il calcio post covid, alle latitudini friulane, è stato esaltante. Finalmente una squadra di cui innamorarsi, giocatori per i quali provare rispetto perché hanno dato tutto. Ma partiamo dall’inizio…

Torino Udinese, vedo Lasagna, verso fine partita, sbagliare l’ennesimo colpo e scuotere la testa, a testa bassa, come se tutto gli cadesse addosso. Non vi dico cosa ho pensato in quel momento, quanto lo avrei sbranato. Hai sbagliato un colpo, perso palla, corri indietro e torni a fare il tuo, a riprovarci finché non ti viene! Cazzo, medici e infermieri sono morti, commesse di supermercati, poliziotti ed anche impiegati di banca come me hanno rischiato tutti i giorni di ammalarsi (specialmente chi ha vissuto fra Lombardia ed Emilia lo sa) e tu ti abbatti per un pallone perso?

Quella sconfitta, con Nestorosky che colpisce la palla come una modella stanca, con De Maio che cicca senza grinta e con Lasagna che scuote la testa bassa mi aveva fatto imbestialire. Fossi stato il DS della squadra gli avrei trapanato i timpani parlandogli di chi veramente si fa il mazzo e, una volta giunto a casa, vuole vedere dei ragazzi che onorano la maglia. Non si può avere paura di un pallone a quell’età!

Ma poi, ecco il Cristo che muore e risorge. Nella partita successiva Oronzo Gotti attua la “bizzona Caporetto”; si attende dietro il Piave, ma poi si parte a razzo anche in quattro o cinque. E’ emblematica una intervista di De Paul che ha detto “ora, quando ricevo palla, alzo la testa e vedo almeno quattro o cinque compagni a cui passarla”. Vi ricordate quando scrivevo che De Paul predicava nel deserto? Finalmente Gotti gli ha dato dei discepoli, e l’argentino ha dato a tutti l’esempio giusto di come si sta in campo. Udinese Atalanta è stato il cambio, la nuova vita, la consapevolezza di poter far meglio, la voglia finalmente di battersi sempre e con tutti, anche più di quello che io credevo fosse possibile.

Che bello vedere l’Udinese crescere, lottare, infortunarsi, essere ridotta al minimo storico ma lottare ancora e vincere. E se per una volta abbiamo avuto sfortuna, fa lo stesso. Credo poco alla sfortuna, il caso dà e toglie. Ma quando prendi un palo all’ultimo secondo contro la Lazio e poi vai a Napoli ad essere molto più pericolosi di loro e perdi per un tiro della domenica all’ultimo secondo che fa palo e gol, beh… siamo friulani, quindi giù a bestemmiare!

La partita contro la Juve è come “Fuga per la vittoria”, come Rocky I, è qualcosa di epico, di storico. Non dico che sia come il doppio spareggio con il quale li mandammo a giocare l’Intertoto (il momento più alto della nostra storia, per me), ma è qualcosa che si mette in coda, con umiltà e dice, piano piano, “lavoro per esserci anche io, in quella storia”.

Abbiamo perso contro la Sampdoria per nostri limiti e loro bravura, abbiamo perso contro l’Atalanta per un rigore netto su Lasagna, non solo negato, ma anzi fischiato al contrario, abbiamo perso contro il Lecce perché sono venuti al Friuli per picchiare, ma anche nell’ultima partita il sudore scorreva sulle maglie bianconere. Mi ricordo un allenatore della mia infanzia: fra il primo e il secondo tempo veniva a toccarti la maglietta, se non era sudata diceva che ti metteva in panchina. Un grande! Vivevi nel terrore ma ti esaltava. Ecco, l’Udinese di Gotti post Covid mi ricordo quello, ciò che per me, in fondo, è il calcio: sudore, grinta e organizzazione.

Peccato sia finita… peccato davvero, proprio ora che iniziavo a divertirmi!

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