Angelo Trevisan, responsabile del settore giovanile bianconero, ha parlato della riorganizzazione del settore giovanile dell’Udinese, in una lunga intervista a La Giovane Italia. I bianconeri hanno intrapreso un percorso atto a valorizzare i giovani friulani, cercando di accompagnarli nel percorso di crescita per diventare calciatori. Queste le sue parole.
Direttore, come siete arrivati alla decisione di dedicare i vostri sforzi come settore giovanile ai ragazzi del territorio friulano e limitrofo?
“Siamo arrivati a questa decisione perché crediamo che in Friuli, nella nostra terra, ci siano tantissimi calciatori che però, per un motivo o per l’altro, non arrivano a destinazione e non riescono a diventare professionisti. Come mai? Perché in tanti si sono allontanati dalle loro famiglie, cercando la fortuna in altre società lontano da casa, mentre noi siamo convinti che se diamo stabilità ai ragazzi e gli consentiamo di crescere a casa saranno in grado di crescere come uomini e calciatori”.
Che risultati state riscontrando a seguito di questo cambio di direzione nel settore giovanile?
“Abbiamo intrapreso questa strada da due anni. Infatti, quando Palumbo ha esordito in prima squadra quest’anno ero l’uomo più felice del mondo: se un giovane del settore giovanile arriva in prima squadra vuol dire che abbiamo lavorato bene. Ora stiamo ricostruendo un passo alla volta. Purtroppo il virus ci ha penalizzato e non possiamo avere una dimostrazione tangibile di quanto bene stiamo lavorando”.
La vicinanza delle famiglie e la stabilità quindi giocano un ruolo importante per voi nel modo in cui cercate di formare i calciatori?
“Sì, è un aspetto fondamentale. Mio figlio Trevor ha fatto il calciatore, ma non ho mai voluto andasse via da qui. A quell’età, cambiare anche solo gli amici e la scuola è una questione delicata, mentre crescere circondati dai propri amici e dai propri familiari consente ai giovani di giocare più sereni e senza nostalgia. Come società noi dobbiamo essere vicini al ragazzo ma anche alla famiglia e assicurarci che i nostri giocatori siano circondati dai loro affetti e che abbiano un’educazione importante. L’altro aspetto che privilegiamo infatti è l’istruzione: i nostri calciatori devono andare bene a scuola”.
Come vi interfacciate con le famiglie a riguardo?
“I nostri tutor sanno perfettamente se vanno e come vanno i ragazzi a scuola. Ci capita di richiamarli se non frequentano e se arriva qualche brutta pagella. In un periodo di normalità, con i campionati in corso, una brutta pagella poteva portare all’esclusione dai convocati della domenica”.
Come cercate di conciliare lo studio e l’allenamento?
“Siamo maniacali nella disciplina: per noi è importante che vadano bene a scuola. Io ho conosciuto diversi campioni e quelli veri lo sono dentro e fuori dal campo, capaci di applicarsi in tutti gli aspetti della vita. Le eccezioni, i “cavalli pazzi” che sono diventati campioni, sono pochissime. Bisogna essere fuoriclasse dentro e fuori dal campo”.
C’è la possibilità che i ragazzi tornino a giocare e non solo ad allenarsi?
“Mi sembra che in questa stagione sarà difficile tornare a giocare. Già in Primavera molte partite vengono rinviate, penso sia quasi impossibile tornare in campo a breve per i più piccoli. Ogni domenica ci sono tantissimi problemi. Questa situazione mi fa personalmente impazzire, perché vorrei tanto vedere i ragazzi giocare. Penso sinceramente la Lega e la Federazione volessero tornare in campo, ma più passa il tempo più mi pare complicato”.
Non si corre il rischio di bruciare una generazione in questo modo?
“Il rischio c’è ed è reale. Non penso salteremo una generazione di calciatori, ma alcuni ragazzi stanno perdendo anni importanti per sviluppare una maturità calcistica e vedremo solo più avanti gli eventuali danni lasciati da questo virus sui nostri vivai”.