Felipe Dal Bello, ex difensore dell’Udinese, oggi alla Manzanese, è intervenuto in diretta a TMW Radio, nel corso della trasmissione Stadio Aperto per parlare del suo passato in Serie A con la maglia bianconera e dell’Udinese attuale. Queste le sue parole. Sul suo presente: “Ho avuto modo di allenarmi con loro in attesa di una chiamata che reputassi ottima per la mia carriera. Non è arrivata, ma mi sono trovato molto bene e la scelta di firmare per loro è stata facile: c’è un ambiente sano che vuole migliorarsi, fatto di ragazzi per bene. Bello essere in squadra con loro”.
Sui consigli dati agli altri.
“Questo anche quando ero in Serie A… Ho sempre cercato di dare consigli. A 17 anni io ho avuto tante persone che mi hanno aiutato, e cerco anche io di dare quello che posso. Ho trovato ragazzi educati, e anzi sono loro a cercarmi, mi viene facile e naturale dare l’esempio in ogni allenamento”.
Il ricordo del suo esordio in Serie A, 18 anni fa, in Chievo-Udinese
“Ricordo che abbiamo perso in malo modo! Sono entrato che mancavano dieci minuti, era una di quelle partite giocate male su un campo bruttissimo ma per me un’emozione unica. Da quando ho iniziato a giocare non avevo pensato che sarei diventato un calciatore. Ricordo ancora le parole di Gerolin, che mi aveva scoperto in Brasile: “L’esordio è facile, ora devi mantenere”. Col Chievo poi sono stato fortunato perché ho segnato la mia prima doppietta in Serie A!”.
Il ricordo della Champions League con l’Udinese e il gol al Camp Nou
“La ciliegina. Ero giovanissimo, che momento sia per me che per la mia famiglia, c’era mio papà allo stadio venuto apposta dal Brasile. Nel mio percorso nel calcio ho avuto tante cose belle ed altre meno, ma mi hanno portato ad essere ciò che sono adesso. La Manzanese l’ho scelta anche per ciò che ho vissuto in carriera”.
Come vede l’Udinese attuale?
“La famiglia Pozzo sa fare calcio, sono tantissimi anni che rimangono in Serie A e per molti anche in Europa. Quello che è cambiato rispetto al passato è che prima c’era un fulcro di italiani nello spogliatoio: negli ultimi anni la cosa si è un po’ persa. Quando andammo in Europa League con Marino, avevamo sette-otto italiani in formazione e tre-quattro in Nazionale. Però riescono sempre a mantenere la Serie A, e penso che trattenere De Paul a Udine sia stata dura per loro”.
Che giocatore è De Paul?
“La qualità si vedeva da subito, un giocatore veramente interessante: si muoveva, cercava sempre di farsi dare la palla. La cosa positiva sua è stata adattarsi e migliorarsi sulla fase difensiva, sul dinamismo che serve per poter giocare da mezzala. Avevo qualche perplessità, pensavo: è un 10, vuole la palla addosso. Invece no, e ora può ambire anche per squadre che lottino per grandi traguardi”.
C’è un rimpianto per non avere giocato in Nazionale?
“No, è andata bene a prescindere. Però c’era un periodo, quando ancora aspettavo il mio passaporto, che Donadoni chiedeva di me, ma è andata così…”.
Gotti è giusto per l’Udinese?
“Una persona intelligente con cui ho avuto un ottimo rapporto a Parma: nonostante le problematiche arrivammo all’Europa League, vorrei ricordarlo. Sono contento che abbia accettato di rimanere all’Udinese, è uno che si fa voler bene: ragiona tanto prima di parlare, e quando apre bocca non è mai banale. Una cosa importante per la gente del Friuli”.
Sull’esperienza alla Fiorentina
“Non è andata come mi aspettavo. Intanto è stata la prima squadra dopo dieci anni di Udinese, e non sono stato aiutato al meglio in un passaggio così: ho giocato solo le prime due partite nel mio ruolo, poi solo da terzino sinistro. Con Prandelli giocavo, poi hanno deciso che avrei dovuto andare via. Dalla bolla di tranquillità dell’Udinese sono passato in una squadra più forte e ho capito cosa significa. Vi racconto un aneddoto, appena arrivato ho giocato in un’amichevole del giovedì allo stadio, rientrava Mutu. Sentivo il boato, e c’erano 5mila persone… Ricordo che a Udine allo stadio non ci si allenava, tanto sarebbero venute sì e no un centinaio di persone”.
L’allenatore che le ha lasciato di più
“Spalletti. Mi ha portato in prima squadra, una persona che alla fine di ogni allenamento stava con me un’altra ora per fare lavoro di tecnica e rapidità e per spiegarmi i movimenti. Quando non poteva lui rimaneva il secondo… Mi ha fatto migliorare tantissimo”.
Cosa ha perso il calcio italiano in questi anni?
“Per me si va sul discorso economico. L’Italia al confronto di altri paesi, è un posto bellissimo in cui vivere, ma quando dagli altri campionati hanno iniziato ad offrire cifre folli… Un peccato, ricordo gli anni di Hubner e Gilardino capocannonieri in squadre piccole. Un campionato davvero difficile e ben bilanciato”.
Com’era Di Natale?
“Magia pura. Al di là di quello che si vedeva nelle partite, vorrei raccontarvi cosa ho visto negli allenamenti. Ci fermavamo e dicevamo: “Andiamo via”. Abbiamo visto davvero di tutto… E quando è diventato prima punta è migliorato ulteriormente! Era agile e veloce, ma sapeva muoversi: una bella scoperta di Guidolin”.
La sua fortuna è stata rimanere a Udine?
“Era ed è tutt’oggi un dio. Benvoluto, quando scendeva in campo dava tutto per la maglia”.
Chi il più difficile da marcare?
“L’attaccante più fastidioso era Inzaghi: dappertutto. Lo guardavi ed era in fuorigioco, poi la palla partiva, ti aveva preso il tempo ed avevi preso gol. Ricordo che entrò a venti minuti dalla fine contro di noi, prendendo un palo e facendosi annullare tre gol. Un bomber di razza, il più difficile da marcare”.
La sua maggiore soddisfazione personale?
“Il gol a Barcellona. E poi aver giocato per 18 anni in Serie A, ne vado molto fiero”.