I 209 gol segnati in Serie A lo rendono il 6° marcatore di sempre. Totò Di Natale, ex bomber dell’Udinese, ha parlato di calcio a 360° a Tuttosport. Ecco alcuni passaggi dell’intervista che si è estesa anche alla Nazionale.
Totò Di Natale, quanta Serie A guarda ancora? «Tanta. Sono sempre innamorato del calcio, mi appassiona vederlo, anche se non è più quello dei miei tempi. In Italia c’è molta meno qualità. Mi piacciono Napoli e Milan, ma occhio all’Inter per lo scudetto. E c’è pure la Roma di Gasperini che mi incuriosisce parecchio».
Perché non c’è, nel Club Italia, un ruolo per Totò Di Natale? «Io ho le mie scuole calcio, mi piace lavorare con i ragazzi. Non amo i riflettori e non cerco visibilità».
Ha ricevuto una chiamata dalla Nazionale? «Mai. Ma mi hanno cercato tanti club per darmi un ruolo all’interno degli staff tecnici. Io, però, non mi muovo da Udine: qui sto benissimo, voglio restituire al territorio tutto l’amore che ho ricevuto negli anni».
Lei ha una scuola calcio, segue i giocatori sin da piccolissimi. Ma perché non produciamo più talenti? «Per tanti motivi. Intanto perché i club non hanno coraggio, non danno mai spazio agli italiani. Ci sono una marea di stranieri, anche di basso livello. Ma perché? Ricordo la Primavera del Lecce che ha vinto lo scudetto nel 2023, infarcita di stranieri».
I genitori sono un tappo alla crescita dei ragazzi? «Da una parte sì: tanti pensano di avere Maradona in casa. Questo è un problema per gli istruttori e per gli allenatori. Ma la situazione è molto più complessa: le strutture sono poche e non all’altezza. Tante società sono costrette a dividere i campi in 4 per far allenare tutti. Non ci sono strutture. Per fortuna il Comune di Udine, che ringrazio, ci ha messo nelle condizioni di avere spazi idonei: è una rarità in Italia. Capisco le famiglie: vogliono il meglio per i loro figli e sugli impianti siamo indietro a livello nazionale».
La Nazionale torna a Udine. La andrà a vedere? «Non lo so ancora, il 13 è il mio compleanno e non so quando festeggerò con la mia famiglia. La Figc mi ha invitato: se riesco vado volentieri, la Nazionale ha sempre qualcosa di speciale».
Giusto scendere in campo contro Israele? «Sì, giusto. La politica deve restare fuori dallo sport. Poi, non cambia la sostanza del pensiero di tutti: la guerra in atto ci fa male. Le immagini che vediamo tutti i giorni sono una ferita aperta».
La Juve. Lei è stato vicino due volte al grande salto dall’Udinese. Ha mai avuto paura di non saper gestire le pressioni di una grande squadra? «No, uno nella vita deve avere paura solo quando un medico ti diagnostica una malattia. Il calcio è troppo bello per avere paura. Semplicemente a Udine sono sempre stato bene: ho vissuto i 12 anni di carriera più belli della mia vita, perché dovevo lasciare?».
Perché così pochi giocatori fanno la sua stessa scelta? «Perché oggi comandano i procuratori. Alcuni creano delle guerre tra club e giocatori. Sono della generazione di Maldini, Totti e Del Piero: per me la gratitudine è tutto».
Quali sono i giocatori che la fanno ancora innamorare del calcio? «Yamal: un fenomeno assoluto. Fa delle cose difficili persino da immaginare, speriamo non si bruci. Ma un altro Messi non nascerà a breve».
L’ha mai conosciuto di persona? «Sì, me lo fece conoscere Alexis Sanchez a Barcellona. Ci siamo visti in privato. Mi emoziono raramente, quella volta però ero felice come un bambino. Poi ho capito perché Leo è il più grande di tutti: è una persona di una semplicità unica. Impossibile non apprezzarlo».