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Messaggero Veneto, Tissone: si gioca per la gente

Da Malaga, dove vive con la moglie e figlia nata in piena emergenza Covid, l'ex Udinese Fernando Tissone racconta al Messaggero Veneto il Coronavirus nel calcio
Monica Tosolini

Da Malaga, dove vive con la moglie e figlia nata in piena emergenza Covid, l’ex Udinese Fernando Tissone racconta al Messaggero Veneto il Coronavirus nel calcio: “Ho appena sentito il mio amico German Camoranesi che allena il Tabor Sezana in Slovenia e loro dalla prossima settimana potranno ricominciare ad allenarsi in piccoli gruppi per soli 45 minuti a seduta. Anche da noi in Spagna gli allenamenti dovrebbero riprendere poco a poco, anche se c’è ancora incertezza sulla conclusione della Liga. In Spagna si riprenderà poco a poco con gli allenamenti, ma i club hanno appena avuto il via libera dal governo, dall’11 le sedute saranno in gruppo”.

Lei è favorevole alla ripresa? “Lo sarei solo se ci fossero i tifosi allo stadio, altrimenti no. Noi professionisti facciamo un bel lavoro e guadagniamo tanto, ma giochiamo per la gente e non solo per assegnare uno scudetto a una o un’altra squadra e non solo per i soldi dei diritti televisivi”.

Molti preparatori atletici sostengono che si andrebbe incontro a moltissimi infortuni in caso di ripresa…”Se sei un professionista serio e ti alleni da solo e per bene non c’è problema. Nel mio caso personale, adesso io sono senza squadra. Prima del virus mi stavo allenando con una squadra dilettanti, ma ho la fortuna di essere seguito da Miguel Enrique che per anni è stato il personal trainer di Roberto Baggio e se tornassi in campo domani, tempo tre settimane sarei a posto. Poi, è anche vero che servono le strutture e i campi, non tutti sono Messi o Ronaldo che hanno piscine e palestre in casa. Un giocatore ha bisogno del campo, ma serve anche prudenza”.

Ricordi. Come arrivò all’Udinese?”È una storia che sanno in pochi. Prima di Udine ero stato in prova alla Juventus, che però non pagò il Lanus, club nel quale tra l’altro non avevo mai giocato. Premetto che mio padre mi aveva portato giovanissimo in Europa e da Madrid passammo a Como, poi quel provino alla Juve che indugiava sul pagamento. Ero sempre meno convinto di quella situazione e spuntò l’Udinese. Spalletti mi dice chiaro: “So che sei un attaccante, però non ne abbiamo bisogno. Invece ci serve un giocatore che faccia la riserva a Pizarro, davanti alla difesa”. Alla prima occasione possibile vado in panchina a Siena e poi entro, vinciamo 3-2 una partita molto importante e poi la Champions. Non ho dubbi, quella Udinese per me giocava il calcio più bello del mondo e io avevo in Pizzarro un maestro immenso, che ti faceva il tunnel non per sfotterti ma per fare il passaggio ideale, e in Felipe un grande amico”.

Prima della Samp, però rientrò a Udine nel 2008, ma non andò bene. Perché?”L’Udinese aveva pagato quattro milioni per la metà del cartellino per me, avevo grosse responsabilità e ricordo che Di Natale mi disse: “Voglio che mi aiuti ad arrivare a cento gol”. Avrei dovuto giocare trequartista alle sue spalle come voleva mister Marino, ma mi infortunai troppe volte”.

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