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Bierhoff: Meno avidità nel calcio per ripartire tutti uniti

Oliver Bierhoff è tra coloro che sostiene che i campionati debbano ripartire.
Monica Tosolini

Oliver Bierhoff è tra coloro che sostiene che i campionati debbano ripartire. Ne ha parlato in una intervista telefonica alla Gazzetta dello sport, spiegando il suo ragionamento: “Il calcio non deve farsi da parte, ha una funzione importantissima, quella dell’emozione. In Germania si dice che la nazionale è l’ultimo fuoco attorno al quale la gente si riunisce. Ma adesso tutto il calcio è l’ultimo fuoco. Serve come esempio, può dare gioia o speranza. E può anche aiutare. Con i giocatori della nostra nazionale abbiamo aperto una donazione da 2,5 milioni; anche altri calciatori stanno raccogliendo fondi. L’aiuto non sarà però soltanto economico ma anche psicologico. Unirsi, stare insieme, dare un segnale comune: questo serve”.

Lei, con il c.t. Joachim Löw, è stato fra i primi a ridursi lo stipendio senza che nessuno lo chiedesse, già il 18 marzo. Gesto volontario, o ha voluto evitare discussioni antipatiche?  “E’ stato un gesto simbolico, per lasciare il segno. Accettare di avere di meno è giusto nei confronti della federazione, degli operai, della gente che lavora. Si può andare avanti anche con meno, non cambia la nostra vita anche se una riduzione in percentuale delle spese non cambia neppure quella della federcalcio”.

Come si trasformerà il calcio? “Calerà il mercato. Si abbasseranno i prezzi. Un giocatore a fine contratto, prendiamo per esempio Mario Götze, faticherà a trovare le cifre di prima. C’era una velocità altissima finora nel calcio, si voleva sempre di più, ognuno pensava che da ogni risvolto dovesse guadagnarci, sempre. Avidità come primo principio. Alla fine il sistema esplode. Adesso si ricomincerà a un livello più basso, si tornerà ad essere contenti soltanto di avere un lavoro, a sentirsi bene per poter andare al lavoro. Una felicità nuova”.

Ma lo spettacolo calcio sarà ancora sostenibile dopo questa batosta economica? “Mi ricordo che quando arrivai in Italia da giocatore, negli anni Novanta, c’era un livello economico altissimo e quasi senza controllo, poi la crisi di alcune società ridimensionò tutto il sistema. Adesso si avranno dappertutto meno soldi: dalle tv, dagli sponsor, dai tifosi che dovranno spendere per altro. Se uno resta a casa dal lavoro è difficile che metta il denaro per il calcio. Però lo sport in generale ha un valore importante per la società: è quello delle emozioni. Deve essere sostenuto anche dagli Stati. Il business che gira intorno al calcio non è soltanto per gli addetti ai lavori, ma anche per chi vende i panini allo stadio, per chi vende le sciarpe, giusto per fare due esempi. Non dico ci debba essere un paracadute particolare soltanto per lo sport, però il sostegno pubblico è fondamentale”.

Partire a porte chiuse sarà l’unica scelta: il male minore accettato da tutti? “Sì. Sono dell’idea che si debba anche portare a temine questa stagione, magari mandando in ferie i giocatori adesso (in Germania alcune squadre si stanno allenando, ndr) per giocare in estate, spostando la finestra di mercato e dei contratti. Tanto dovrebbe valere per tutti. Sul discorso delle folle negli stadi, dispiace per i tifosi, però ci sono tre motivi perché il calcio debba essere accettato anche a porte chiuse. Primo: i diritti tv sono più importanti, nel conto economico, delle entrate del botteghino. Secondo: tutti vogliono finire i campionati per non lasciare una stagione a metà. Terzo: la gente si è stufata di vedere in televisione Germania-Italia del passato”.

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