Alla vigilia della sfida di Europa League tra la Roma e la sua ex squadra, l’Athletic Bilbao, Oier Zarraga ha raccontato della sua avventura italiana, in Friuli, alla testata dei.eus. Il centrocampista, nonostante lo scarso impiego nella sua prima stagione a Udine, dice: “Sono felice. Qui sto vivendo un’esperienza per me nuova. Non ero mai uscita di casa, inoltre amavo molto stare con la mia famiglia, con mamma e papà. Ma sono felice, il cambiamento mi ha fatto bene. Sto imparando tanto e questo mi sta facendo maturare sia fuori che dentro il campo”.
Da quanto sappiamo, parla bene la lingua, il che gli avrà reso le cose molto più facili. “Sì. Quando ho firmato e prima di venire ho iniziato ad impararla, già in estate. E poi è stato facile. Alla fine ascolti tutto il giorno la gente del posto e purché anche tu faccia la tua parte… Imparare l’italiano è anche un modo per rispettare chi ti ospita. Non lo parlo come le persone di qui, ma quasi quasi”.
In generale, c’è la paura del cambiamento. È tipico dell’essere umano. Sei entrato nel Lezama a nove anni e sei uscito a 24. Come ricordi il momento in cui hai deciso di firmare per l’Udinese? “Non stavo vivendo un buon momento. Sarà stato per come è iniziato l’anno, per il fatto che penso di aver fatto un buon pre-campionato e poi non sono entrato in squadra, non riuscivo nemmeno a guadagnare minuti…“
È stato difficile prendere quella decisione? “Un po’. Ma è arrivata questa occasione. Allora ho creduto, e lo credo ancora, di aver fatto bene a fare il passo di venire qui, di uscire di casa. Mi hanno dato molta fiducia, avevo bisogno di cambiare aria perché non ero me stesso e alla fine non davo quello che l’Athletic aveva bisogno da me. Era un po’ come se non avesse senso essere lì e non potersi evolvere o crescere. La mia testa mi ha chiesto di cercare un’alternativa diversa, che mi stimolasse; una cultura calcistica diversa, un calcio diverso, una squadra diversa, un’altra lingua. Qualcosa di molto diverso da provare e questo mi sta aiutando a crescere, sia come persona, molto, e anche a livello calcistico sto imparando molto”.
Quando si parla di calcio italiano lo si associa quasi sempre ad un gioco difensivo, il famoso ‘catenaccio’. Anche se negli ultimi anni sembra che questo stia cambiando verso un calcio più offensivo… Sì, è vero che non seguivo molto il campionato italiano, a parte le partite importanti, ma ora che ci sono penso che sia cambiato molto. È vero che danno molta importanza alla tattica, all’ordine. Adesso però sono arrivati diversi allenatori, anche italiani con altre idee, e propongono con forza di giocare dal basso, essere molto offensivi, essere attivi e andare a vincere dal primo minuto”.
Cosa ti ha sorpreso di più di quello che hai trovato a livello calcistico? “Abbiamo iniziato con un allenatore che difendeva a uomo, cosa che non facevo da 15 anni. Da quando sono arrivato all’Athletic non avevo mai giocato marcando a uomo”.
L’Atletico di Bielsa e poco altro… Sì, è vero. L’unica volta che ricordo è quella. Abituarsi a giocare a zona, avere i propri spazi e andare a giocare a uomo è un grande cambiamento. Questo è stato ciò che mi ha sorpreso di più. Il tempo che investono in tattiche.
Ti arrabbi quando non giochi? “Sì, ovviamente. Non mi piace non giocare. Ma penso di essere un buon compagno di squadra. Mi alleno al cento per cento quando gioco e quando non gioco, rispetto tutte le decisioni. Ma mi dà fastidio non giocare. Ho sempre voglia di giocare. Ed è per questo che forse adesso, quando gioco 20 minuti, mezz’ora o dieci minuti, lo faccio meglio di prima”.
Le cose sono cambiate. “Adesso penso che se faccio bene nel tempo in cui gioco, quei minuti domani potranno moltiplicarsi. Può anche significare non cambiare nulla, ma si tratta di restare soddisfatti di sé stessi”.