La primavera, meteorologicamente è arrivata. Anche in Friuli. Non al Friuli, però, inteso come impianto sportivo ( non me ne vogliano i loghi commerciali se lo addito con il suo nome originale). Sotto l’arcata dei Rizzi, pare autunno inoltrato, quasi inverno. Il sole c’è ma non scalda, non più ormai. La frustrazione mista a delusione del tifoso medio, la fa da padrona. La coda di questo campionato 2024/25, il cui esito regalerà la 31.ma permanenza di fila nella massima seria, porta tanto veleno, e anche polemiche.
Sembrerebbe assurdo se si pensa che solo due mesi fa, dopo il pari con la Lazio fuori casa, venivano conseguiti i tanti agognati 40 punti che consentono di fatto di staccare virtualmente il pass salvezza. Era il 10 Marzo. Ultima gara e ultimo gol di Thauvin in questo campionato.
Da allora cosa è cambiato? Tanto; forse troppo, a cominciare proprio dal francese che da allora non ha più visto il campo e assieme a lui, si è dissolta la baldanza di un allenatore che fin li aveva mostrato coraggio, applicazione e pure fantasia nel girare quel cubo di rubik della rosa bianconera, fino a che era riuscito a trovare l’allineamento perfetto dei colori con quel 442 atipico, che tanto difficile rendeva la vita alle squadre avversarie. Senza più assilli da classifica, e con la sedicente voglia di alzare l’asticella, per ergersi in vette ancora inesplorate nell’ultimo decennio, abbiamo assistito ad una regressione della squadra, e del suo progetto tattico. L’ex Marsiglia, ovvero Thauvin, è stato spesso sostituito volta per volta da tutti i centrocampisti della rosa; l’utilizzo di una sola punta è diventato un dogma, come anche il ritorno a tre della difesa, tranne qualche breve divagazione a 4.
Piano piano, con i risultati che hanno aperto un’emorragia di sconfitte, il tecnico ha smarrito la quadra tattica, dopo aver perso pure il coraggio e l’intraprendenza che avevano condizionato i suoi primi 6 mesi da tecnico. Le tante giornate senza segnare, accompagnate dalle 5 sconfitte di fila, avevano sconfessato la regressione tattica virante sul 361, che però non ha mai abbandonato la testa di Runjaic, che di fatto ha riproposto lo stesso menù pure contro la cenerentola della serie A Monza, già retrocessa aritmeticamente, e vittima fragile di ogni formazione del torneo. Vittima fragile, che ha saputo riscoprirsi forte proprio a Udine, contro la squadra bianconera, che forse dietro ad una corazza ben più grossa cela un’anima ancora più fragile di quella dei brianzoli, assieme a tanti problemi, che probabilmente cominciano ad intaccare anche le mura dello spogliatoio. Il vertice apicale di questi problemi è da ricercare nella gestione del Nino Maravilla, al secolo Alexis Sanchez, lasciato in panchina per tutti i 90 minuti, assieme al quale sono rimasti, da inizio gara, tutte le altre punte ( ce n’erano ben 5 ieri) ad eccezione dell’eletto Davis, l’unico sopravvissuto della categoria a poter partire dall’inizio, in mezzo, come al solito, ad un a marea di centrocampisti e difensori.
361 contro il Monza. Cosa resta di questa partita ? Ben poco si potrebbe dire. Ah ecco, il possesso palla. Quello, che è sempre stato un cruccio del mister fin dall’inizio, è rimasto un dato incrollabile, che però perde senso se non è affiancato da altri valori, totalmente assenti, non solo ieri. Parliamo della verticalità di gioco; dell’imprevedibilità della manovra; capacità di uno contro uno; ritmo, intensità, forse anche voglia e perché no pure cattiveria. Quello a cui abbiamo assistito ieri, purtroppo, sia con il 361 del primo tempo, sia con il 442 rivisto ma tardivo, della ripresa, è stato un massacro di idee, e un’incapacità di gestire la fase offensiva. Innumerevoli passaggi all’indietro; sette tocchi di palla per avanzare di tre metri; nel primo tempo pareva che l’unico obiettivo fosse sfruttare Davis come centro boa per le sponde, nelle quali è bravo, e vincere i duelli sulle seconde palle, allargare il gioco sugli esterni e crossare basso per i rimorchi dei tanti centrocampisti. Morale della favola: per tutto il primo tempo l’Udinese è arrivata al tiro una volta con un difensore in licenza offensiva (Solet) e un’ altra con Davis, costretto a saltare l’uomo con un doppio passo prima di scaricare il flebile destro addosso al portiere avversario ( tra l’altro friulano).
La riproposizione di Atta quale trequartista dietro l’unica punta, sa di accanimento terapeutico, stante che il francese non dispone dello spunto del trequartista, ne al tiro ne nell’imbucata. Per dire Samardzic alla sua età era ben altra roba; va altresì detto che il francese di origini beninesi, rimane un giocatore bello a vedersi, elegante e pure strutturato fisicamente, ma parrebbe più adatto a calcare altre mattonelle del campo, almeno 20-30 metri più indietro, laddove, tra l’altro, l’istinto comunque lo conduce se è vero che anche da trequartista viene davanti alla difesa a reclamare il pallone, lasciando quindi Davis isolato.
Aldilà poi di questo astruso disegno tattico, e dell’ostinazione nell’ insistere con i centrocampisti sulla trequarti, anche contro la retrocessa Monza, fa specie vedere una squadra fisicamente spenta, incapace di un cambio di ritmo, e forse con la testa già altrove. L’Impiego di Lucca, ha sicuramente ridato vivacità e soluzioni all’attacco. Il centravanti di Moncalieri ha dimostrato che la sua presenza vale sempre il prezzo del biglietto a patto di scodellare qualche pallone nel mezzo (cosa mai fatta nella prima frazione), e il gol di ieri tra l’altro è stato tanta roba. L’altra faccia della medaglia però è rappresentata dal fatto che il ragazzo seguita in atteggiamenti un po’ da prima donna, e la querelle sulla punizione da battere, con Lovric, e un timido ( e forse più meritevole) Pafundi che in punta di piedi reclamava un permesso mai concesso, ha ricordato, sebbene in tono minore, vecchie dispute dal dischetto, sulle quali si sono consumati fiumi d’inchiostro. L’impressione è che nello spogliatoio non ci sia un’atmosfera da arcobaleno, con una vena di nervosismo che pare aver contagiato un po’ tutti, compreso il tecnico, specie se chiamato in causa sul mancato impiego di Sanchez. Di questa stagione, ormai all’epilogo, rimarranno tanti interrogativi, che non avranno mai risposta, e poche certezze, tra cui quella di una classifica, che per tre quarti lasciava presagire posizioni più nobili, alla sinistra della stessa, e che nell’ultimo quarto ha visto una squadra riallinearsi alla mediocrità degli anni passati, quella mediocrità che si può toccare con mano tra la dodicesima e la quattordicesima posizione, laddove pare che la squadra sia sempre destinata oltre l’ineluttabile, come se una calamita trattenga in quella posizione di classifica il gruppo, oppure come se la progettazione societaria avesse stabilito in quel limbo anonimo, come il cantuccio dove trascorrere svariati anni nella massima serie; senza troppe pretese, ne troppe paranoie verso il basso, tranne in annate sfortunate come quella 2023/24.
Insomma, lo scoramento sul volto dei tifosi ieri all’uscita dallo stadio, era mista alla rassegnazione.
Per quanto riguarda il risultato, probabilmente Runjaic protrebbe essersi giocato la permanenza per il prossimo anno. In settimana aveva addirittura abbassato l’asticella, dapprima fissata a 50 punti, facendola scendere a 48. Quando il termometro delle ambizioni comincia ad essere regolato verso il basso, non è mai un buon segno, e dopo la sconfitta di ieri, probabilmente potrebbe vedere un ulteriore ritocco verso il basso.
Altro che quota 50.
Altro che decimo posto.
Paolo Blasotti