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Gazzetta dello sport: Cioffi l’ispiratore

Primo test ieri per il Verona di Cioffi che al termine della gara ha parlato in conferenza stampa
Monica Tosolini

Primo test ieri per il Verona di Cioffi che al termine della gara ha parlato in conferenza stampa e poi alla Gazzetta dello sport dicendo: «Mi dipingono come un sognatore? Capiamoci. Per poter sognare devi avere prima dei paletti. I miei 4 sono: lavoro, lavoro, lavoro, lavoro. Inteso come sacrificio, passione, e obiettivi. Poi allora puoi lavorare per sognare. Il sogno si costruisce».

Quando ha preso l’Udinese Zaccheroni ci disse: «Non mi meraviglio: Gabriele è un primo, non un secondo. Ha personalità e idee». Si ritrova? «Per me Zac è stato un punto di riferimento sia da giocatore che quando ho cominciato ad allenare. Anche da vice all’estero l’ho sempre sentito, anche solo due volte l’anno. E voglio rispondere in onestà: sì, mi sento un primo, ho idee e penso di saperle trasmettere».

Tanta gavetta e anni da vice per arrivarci. Come mai? «C’è un momento giusto per tutto. Prima bisogna imparare. Sono arrivato in Serie A con tre crociati alle spalle e al debutto mi son rotto lo zigomo. Dico questo non per trovare un alibi, ma perché nella difficoltà puoi ribaltare la cose. Quando ho smesso ho avuto la fortuna di trovare Giuntoli che mi ha dato la prima possibilità di allenare a Carpi. Dopo qualche porta in faccia, sono andato in Australia e poi all’Al-Jazira con Ten Cate col quale ho avuto un rapporto di amore e odio. Nel suo libro, Crujff lo menziona spesso. Mi sorprese, col tempo ho capito il perché. Un maestro. Poi Zola mi ha chiamato in Inghilterra. Lui ha idee molto chiare di gioco. E’ stata un’esperienza difficile ma mi ha permesso di assaporare l’intensità del calcio inglese. Infine devo dire grazie a Gotti che mi ha fatto lavorare in una società seria, con le idee chiare, Marino e i Pozzo che mi hanno dato la possibilità di diventare primo allenatore. Mi sentivo di esserlo sì, ma ho sempre svolto il ruolo di secondo con grande rispetto». Si aspettava la chiamata di una squadra da parte sinistra della classifica? «Non mi aspettavo nè il Verona né altri club di A che mi hanno contattato. In generale sono concentrato sul qui e ora, pensare al futuro ti illude. Ho colto l’attimo».

E’ consapevole che l’Hellas sarà il suo esame di maturità? «Gli esami non finiscono mai, diceva il tale. Fare l’allenatore è così. Si può girarla come si vuole, ma conta solo vincere e centrare gli obiettivi. Non sento la pressione delle aspettative, perché le aspettative portano delusioni. Noi abbiamo un obiettivo chiaro che è la salvezza, il secondo passaggio è confermarsi, il terzo è stupire. Senza il primo, non esistono gli altri. La sfida vera è che chi ci guarda si riconosca in cosa guarda».

All’Udinese c’era un impianto collaudato, lei lo ha seguito. Al Verona farà la stessa cosa? «A Udine ho ritenuto che ci fosse una struttura vincente, ho mantenuto la linea e ci ho aggiunto del mio. Lo stesso farò qui, il Verona ha un’identità ben precisa che l’ha portata al successo, non vedo perché dovrei cambiare. A Juric e Tudor aggiungo Mandorlini, Bagnoli, e anche Aglietti. Il Verona ha un Dna chiaro e definito, insito nel club e direi nella città. Chi vince a Verona è perché rispetta questo e aggiunge un’idea di gioco».

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