Davide Nicola banale non lo è mai stato. Tanto meno potrebbe esserlo adesso, in una situazione così drammatica. Lui sa cosa significa vivere una tragedia, affrontarla e cercare di superarla. Adesso, come ognuno di noi, deve di nuovo lottare: stavolta assieme a tutta l’Italia, anzi, al mondo intero.
E lui, dopo essersi appellato a quanto detto da Jurgen Klopp quando gli è stato chiesto un giudizio sul coronavirus, ha deciso di spiegare il proprio pensiero in una lettera divulgata da ‘Il Secolo XIX‘: “Io faccio anche l’allenatore del Genoa, ed è per questo che mi conoscono. Prima ancora ho fatto il calciatore, per passione e professione. In entrambi i casi ho iniziato a camminare con passo più sicuro quando ho scoperto e compreso l’importanza di sapersi adattare: “Prima ti adatti, più lo fai con lucida convinzione, meglio diventi operativo ed efficace”, mi dicevano. Eppure qualcosa non tornava. Per adattarsi serve tempo, e di ciò non se ne può fare una colpa a nessuno. Perché il tempo è ciò che scandisce la nostra vita e ciascuno viaggia ad un suo proprio ritmo.
È servito tempo per capire la reale portata di questa pandemia. Per comprendere che passeggiare per strada, baciare i propri figli, esultare dopo un gol, stringere la mano a un amico sarebbe diventato un gesto da evitare. Sbagliato. Dannoso”.
Ed è qui che entra in gioco il concetto di adattamento per uno sportivo: “L’adattamento è una richiesta di tempo: tempo per adattarsi a una nuova città, a un nuovo allenatore, ad altri giocatori da allenare, a compagni diversi, schemi mai provati prima, stadi, avversari, sfide che cambiano per 90 minuti…Adattarsi è sincronizzare la tua velocità con ciò che accade attorno a te. Fino ad essere tu stesso a determinare gli eventi, invece che attraversarli o subirli.
Ebbene, in questo percorso di adattamento noi non siamo soli.. Noi siamo nati per fare squadra. E in una squadra, l’adattamento è sempre un risultato del gruppo… Fare team è rispettare le esigenze dell’altro, perchè solo così, l’altro ascolterà le nostre e nessuno rimarrà indietro….Il calcio mi ha insegnato che il gruppo è sempre la somma dei singoli, e che per crescere e migliorarsi come individui bisogna cercare e ricreare nel ‘noi’, più che nell’io, quelle esperienze solidali che proteggono ed elevano il gruppo.
Il nostro campo è la Terra e non ha confini. Ce lo sta insegnando questo nemico micidiale e invisibile. E’ un virus, corre veloc: per sconfiggerlo ci vuole tempo, ovvero capacità di adattamento, alias.. come e quanto ciascuno di noi supporta l’altro.
Non abbiamo difese, ma siamo in partita: sette miliardi di persone, tutti in campo a supportarci, tutti titolari.
Un gran bel team, non è così?”
Il concetto fondamentale è uno: bisogna fare squadra. Ma per davvero.