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Poggi: Quell’aria sana che ci portò in Europa

C'era una volta..un Paese che, pur tra mille difficoltà e contraddizioni in qualche modo 'andava'
Monica Tosolini

C’era una volta..un Paese che, pur tra mille difficoltà e contraddizioni in qualche modo ‘andava’; un mondo pallonaro che ne rifletteva pregi ma soprattutto difetti; un popolo (unico nel suo genere) che sapeva farsi riconoscere ovunque. Tutto questo c’era e ci sarà ancora, pur certamente cambiato in maniera profonda. C’è da lottare e da saper aspettare, in questo momento. Perciò, preferiamo pensare ad altro, a tempi che ci auguriamo torneranno, pur con altri protagonisti. Un nome che in casa Udinese ha un significato enorme è quello di Paolo Poggi, veneziano di nascita e friulano d’adozione. O forse, zoommando ancora di più sulla mappa, cittadino onorario dei Rizzi, quel quartiere a nord di Udine in cui ha sede lo stadio ‘Friuli’. Poggi ha vissuto la sua esperienza udinese di calciatore proprio lì, a due passi dal campo di allenamento in cui ha condiviso esperienze indimenticabili in un contesto che oggi sembra tanto lontano. Paolino (così lo chiamavano allora) è arrivato in Friuli nell’estate del 1994, quando la squadra ha giocato per l’ultima volta in serie B. Ha quindi vissuto la promozione e poi l’incredibile crescita con Alberto Zaccheroni, già suo allenatore a Venezia. Sei anni in bianconero, sei stagioni indimenticabili. Tanti i ricordi di quel periodo, ma lui individua il migliore nel biennio 1996/98, quello che per la prima volta ha visto l’Udinese approdare in Europa.

“E’ stata una cosa particolarmente emozionante” ci racconta, “perché abbiamo vissuto il passaggio dalla consapevolezza alla realtà; dal nulla alla crescita con successiva incredibile consacrazione. Se devo dire il momento per me più bello è quello che racchiude le ultime dieci partite della stagione 1996/97, quella della conquista dell’accesso all’Europa. Anche il campionato successivo è stato magico, arrivammo terzi dietro a Lazio e Juventus che (anche allora) erano irraggiungibili e davvero non si poteva fare di più”.

In quelle dieci partite finali che hai citato c’è anche quel famoso Juventus-Udinese 0-3: è stata quella la gara più significativa? “Per quanto mi riguarda no. La partita a cui rimango più legato è l’ultima di quel campionato, quella in cui abbiamo battuto la Roma e conquistato l’Europa. Ricordo ancora la festa, i tifosi che prima hanno seguito la partita dal maxi schermo di piazza primo Maggio e poi ci hanno aspettato lungo viale Tricesimo fin dentro la sede di Telefriuli, dove c’è stato il grande abbraccio tra noi e loro”.

Quello è stato un momento storico particolare, che in molti hanno ricordato anche con aneddoti. Tu ne hai qualcuno che ti viene ancora in mente? “Mi ricordo che quando avevamo la doppia seduta di allenamento, spesso mangiavamo nello spogliatoio. A volte mister Zaccheroni e il suo staff ci portavano la piadina e noi andavamo a prendere gli affettati. Oppure ci si faceva una pasta lì: non era importante ciò che si mangiava, a noi interessava stare assieme. Questo è ciò che più ricordo e che per me ha reso unico quel gruppo. Tra di noi si era creata una alchimia incredibile: le idee venivano molto spontaneamente, i nuovi arrivati si inserivano facilmente e il gruppo rimaneva omogeneo”.

Quanto è stato importante l’allenatore? “Sul campo molto. Fuori anche, perché comunque sapeva capire i momenti in cui anche lui doveva esserci e quelli in cui era meglio lasciarci. Però quella atmosfera è andata avanti ancora: ricordo che anche con Guidolin si respirava un’aria sana nel nostro spogliatoio”.

Altro ‘ingrediente’ fondamentale di quegli anni sono stati i risultati? “Certamente. Anche questi hanno contribuito a formare con la gente un legame speciale che a sua volta contribuiva al nostro benessere mentale. Si era creata una sorta di magia”.

Ti sei mai chiesto come mai tutto questo oggi non c’è più? “Non vivo più l’Udinese da dentro e quindi non posso saperlo. Credo però che il senso di appartenenza sia fondamentale e ci debba sempre essere. Non so come va oggi, ma se non c’è sono sicuro che tornerà”.

Forse succederà proprio a ‘causa’ di questa situazione di emergenza: “Io credo che si ritroveranno molti valori, qualcosa cambierà, soprattutto nelle persone molto sensibili e ci sarà una nuova consapevolezza delle priorità”.

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