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Magro: Il calcio sta perdendo una occasione incredibile di recuperare un po’ di credibilità

Lo sport si è fermato, il coronavirus ha imposto lo stop a tutto.
Monica Tosolini

Lo sport si è fermato, il coronavirus ha imposto lo stop a tutto, per questo momento e fino a data da destinarsi. Ecco così che, per la prima volta nella storia, anche le Olimpiadi devono rimandare l’appuntamento quadriennale. Tokyo 2020 era l’obiettivo di molti, anche di Andrea Magro che, soprattutto quando lavorava per la federazione nipponica, lo sentiva in maniera particolare.

L’ex ct friulano, che si trova oggi a Manila per uno stage con alcuni atleti filippini, commenta in esclusiva a udineseblog.it: “Sulle Olimpiadi è stata presa la decisione più corretta che si poteva. Da quello che leggevo, il villaggio olimpico avrebbe dovuto ospitare per quattro settimane 15/20 mila persone tra atleti e staff, tutti a stretto contatto. Nella capitale del Giappone sarebbero arrivate qualcosa come 600mila persone. Sarebbe stata una follia farle. So che dietro c’è una organizzazione pazzesca e capisco che rimandarle non sia stato semplice, ma siamo in guerra contro un nemico che non è visibile. Non si poteva fare altrimenti”.

Gli sport olimpici si sono fermati subito, il calcio no: “Perchè il calcio è gestito in modo un po’ particolare, bizzarro. E’ difficile trovare un equilibrio in quel mondo perchè dipende troppo dall’aspetto economico. Nella Lega le liti sono continue. Il calcio comunque è uno sport e secondo me andrebbe gestito da uno sportivo, da persone che conoscono meglio quel mondo. C’è bisogno di persone che abbiano sì conoscenze economiche, ma anche sportive. In questo momento, poi, ci vuole la capacità di capire le priorità, stabilire una scala di valori in cui il calcio deve sapersi posizionare. Farebbero più bella figura a non litigare e dare un messaggio corretto all’esterno”.

Invece in questo momento l’argomento all’ordine del giorno è quello degli stipendi dei calciatori: “E’ un argomento delicato, è facile cadere nel qualunquismo. Certi ingaggi sono dovuti alla bravura di determinati calciatori , credo che a questi non venga regalato nulla, semplicemente viene riconosciuto loro un valore per la prestazione tecnica. Sappiamo però che questo accade a pochi: ci sono molti calciatori che non hanno certi stipendi. In ogni campo c’è una scala di valori, per questo dire che loro guadagnano tanto è sbagliato. Comunque siamo in guerra e le rinunce le fanno tutti. E semmai quelli che vanno tutelati sono i giocatori di serie C e D: esiste anche un altro calcio che fa parte dello stesso calcio. In questa situazione credo che il calcio stia perdendo una incredibile occasione per recuperare un po’ di credibilità. Io amo questo sport, ma credo che le cose vadano gestite in modo diverso. In questo momento la priorità è fermarsi fino a che la gente non guarisce: parlare di calcio non fa bene in primis al calcio stesso”.

Il problema è evidentemente ben più grande: “Il fatto è che siamo di fronte ad una vera e propria emergenza culturale. Non voglio insegnare niente a nessuno, dico solo la mia opinione: credo che quelli della mia generazione siano cresciuti con determinate esperienze che i nostri giovani non hanno. Loro sono più ‘tecnologici’, ma noi abbiamo un altro tipo di intelligenza. La cosa più brutta, e di cui non ci si rende conto, è che in questa situazione stiamo perdendo un patrimonio, i nostri anziani, la nostra memoria, i ricordi del nostro vissuto che ci venivano tramandati dai nostri nonni. Ci saranno mille emergenze, sportive, economiche e chissà quante altre, ma una delle più pesanti sarà quella della perdita degli anziani. Non ci sono morti di classe A o di classe B, ma bisogna rendersi conto che perderemo una certa percentuale di coloro che hanno vissuto un periodo storico fondamentale come la seconda Guerra Mondiale. In un mondo che ha il coraggio di negare certe cose, è grave perdere la voce di chi c’era. Quando il virus sarà sconfitto, molte cose cambieranno ed entrare in un mondo nuovo, senza memoria, credo sarà più difficile”.

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