La sede della Fifa guarda Zurigo dall’alto di una collina che sovrasta la città imbiancata e il lago gelato. Una lunga scalinata conduce all’ingresso del moderno edificio: su ogni gradino c’è scolpito il nome di una nazione membro dell’associazione che gestisce l’evento sportivo più importante del pianeta terra, il Mondiale di calcio. Le squadre che voleranno in Brasile a caccia di gloria si conoscono tutte, ma c’è un team ancora da definire, quello che avrà le maggiori responsabilità. Parliamo di arbitri e assistenti: saranno loro a custodire ogni sfida sino alla finale. Sbagliare il meno possibile è l’imperativo da seguire. L’allenatore di questa squadra è Massimo Busacca: svizzero di Bellinzona con un passato recente da grande ex fischietto.
Busacca, quando si conosceranno gli arbitri del Mondiale?
«Entro un paio di settimane. Una Commissione sta valutando le candidature, poi sentiranno il mio parere e infine renderanno ufficiali i nomi. Dovremmo andare verso 32/33 arbitri, qualcuno in più del Sudafrica. Questo perché spostamenti e clima ci consigliano di stare larghi» .
«Le valutazioni sono fatte in base alla qualità: non c’è nessuna regola che vieti allo stesso Paese di avere più atleti. La scuola Europea è solida, ha tradizione e campionati di alto livello. Ci saranno circa 9 o 10 arbitri scelti in questa aerea, ma non sarebbe corretto escludere a priori gli altri continenti: al Mondiale partecipano squadre di ogni area. E’ giusto che sia così anche per noi».
Come gestirà le tappe di avvicinamento al Mondiale?
«Avremo dei raduni a Zurigo dove proveremo e riproveremo le situazioni tipiche della partita. Non perché gli arbitri debbano imparare in questi mesi cosa fare, chi va al Mondiale è al top. La priorità è un’altra: capire in anticipo le situazioni e individuare la posizione migliore da tenere in ogni azione. Alcune volte un arbitro se la cava con l’esperienza, ma è molto meglio vedere e giudicare. In Brasile staremo sempre a Rio. Lavoreremo ogni giorno: test fisici personalizzati, ma soprattutto analisi sulle partite. Non possiamo permetterci di essere superficiali».
Si parla tanto di arbitri, ma forse il ruolo più complicato lo hanno gli assistenti .
«E’ vero, sono chiamati a un compito difficilissimo».
Beh, con le nuove direttive sul fuorigioco non li avete aiutati...
«Noi applichiamo le regole, certo sarebbe stato più facile per un assistente giudicare il fuorigioco come negli anni Novanta: bandierina sempre alzata anche per gli atleti che non c’entrano nulla con l’azione. Ma questo è contrario alla filosofia del calcio: si deve cercare di costruire gioco e non distruggerlo...» .
Ma non è troppo chiedergli di valutare una posizione di fuorigioco, poi aspettare e vedere se la palla arriva a quel giocatore e infine calcolare la distanza di un metro e mezzo per segnalare l’eventuale interferenza di un attaccante?
«La storia del metro e mezzo è stata riportata male... Quando abbiamo affrontato la discussione sulle nuove direttive, si era cercato di codificare una distanza per determinare il possibile disturbo di un attaccante sul difensore che effettua una giocata. Si è partiti dal caso Camoranesi: sta correndo a circa 4/5 metri dal suo marcatore, che interviene e fa autogol. Ci siamo chiesti: Camoranesi gli dà fastidio? La nostra risposta è stata “no”. Questa è la base per dire che ci deve essere un movimento che disturba, un tentativo di contendere la palla, un gesto che possa far pensare a un intervento. Se un giocatore non fa nulla anche se è a 50 centimetri non interferisce e quindi non c’è fuorigioco. Viceversa pure a due o tre metri può essere attiva la sua posizione. E poi c’è la questione del portiere» .
Prego, ci dica pure .
«Ultimamente molti tecnici piazzano sulle punizioni dei giocatori in fuorigioco di partenza, a circa 5/6 metri dal portiere. Ecco, a quella distanza interferiscono, perché possono impedire l’uscita e l’esatta valutazione della traiettoria del pallone. Altro che metro e mezzo: quando c’è il portiere bisogna allargare il campo per valutare l’interferenza» .
Ci spiega il concetto di «giocata» che va a sanare l’offside di un avversario?
«Deve esserci la volontà d’intervenire su pallone. Non può essere considerata una giocata l’opposizione a un tiro, a un passaggio oppure una carambola casuale. In questi casi resta il fuorigioco» .
Valutazioni da fare in pochi secondi, non è meglio introdurre la moviola in campo?
«La moviola spezza il ritmo e non dà certezze, ci sono episodi che rivisti al replay danno luogo a valutazioni diverse anche tra arbitri. Allora è meglio lasciare che sia una persona a decidere in diretta, secondo una realtà irripetibile. Perché la moviola deforma le percezioni. Sul gol non gol, invece, la tecnologia è utile: in pochi attimi si ha la risposta» .
I costi sono però elevati e al Mondiale potrebbe anche non esserci nessun caso.
«Certo, ma non possiamo rischiare. Puntare sui giudici di porta come fa l’Uefa? C’è un equivoco: possono benissimo coesistere tecnologia e giudici d’area. Questi ultimi aiutano l’arbitro centrale su tante situazioni. Il problema è una questione di qualità: devo mettere due fischietti bravi quanto il primo altrimenti non ha senso. In Champions si può fare, in Italia anche, ma se ci spostiamo andiamo in crisi: la qualità non è più la stessa. Noi per compensare lavoriamo molto sul posizionamento dell’arbitro in modo da anticipare le situazioni di uno contro uno, specie nelle zone più difficili dell’area».
Oltre al fuorigioco ci sono altre regole spesso sulla graticola. Iniziamo con la tripla sanzione: non si può mitigare?
«Ne abbiamo discusso, ma al momento resta. Comprendo le proteste dei portieri: cercano di fare il loro mestiere, tentando di tuffarsi con le mani in uscita bassa. Se non prendono il pallone arriva quasi sempre il rigore, l’espulsione e la successiva squalifica. Per modificare la regola bisognerebbe trovare un equilibrio: davanti a un gol certo il rosso mi sembra il minimo. Ma quando consideriamo un gol sicuro? Siamo tutti d’accordo se c’è una parata di un difensore sulla linea, ma se è messo giù un attaccante a porta vuota può anche capitare che calci fuori. Insomma, credo che sia questa la difficoltà da superare: dare certezze. Altrimenti è meglio lasciare la regola attuale» .
Espulsione per chiara occasione da gol anche a 25 metri dalla porta?
«Capisco l’obiezione, la distanza è molta e c’è anche il portiere. Ma siamo fuori area e una punizione non è la stessa cosa. Diciamo che la scelta diventa comprensibile se il giocatore ha il pieno controllo della palla e se è in una posizione centrale. Più ci si allontana dalla porta e meno diventa chiara occasione da gol» .
E sulle trattenute come la mettiamo?
«Il difensore sa bene che il regolamento vieta di tenere la maglia o le spinte. Il calcio è un sport di contatto e quindi non basta appoggiare le mani per commettere un fallo da rigore, ma se le utilizzo mi prendo un rischio. L’arbitro non può valutare l’entità di quella spinta e dovrà giudicare in base all’azione. Se trattengo devo sapere che posso causare un guaio alla mia squadra. E la colpa non è nostra».
Altra zona grigia: i falli di mano. La Fifa è per punirli quasi tutti?
«Non è vero, devono essere valutati. Anche qui ogni tanto sento che ci sarebbero distanze minime e massime. Il parametro base per valutare la punibilità è la congruità del movimento: posso stare a 5 metri, ma se compio uno stacco che comporta il braccio un po’ più largo senza aumentare volume in modo scaltro, allora non ha senso sanzionarlo. Viceversa anche a mezzo metro posso in modo furbo allargare un gomito non perché voglia colpire la palla, ma solo per il fatto di sapere che quel movimento rende più complicato il compito dell’attaccante. E’ come quello che si butta in scivolata e mette le mani alte: è vero che parliamo di un movimento naturale, ma non sta scritto da nessuna parte che il difensore debba lanciarsi in scivolata per chiudere un cross. Se la palla sbatte sul braccio è rigore perché il giocatore ha scelto una opzione che ha un rischio insito. E quel rischio può essere punito».
Lei è stato un grande arbitro, ha avuto un modello di riferimento?
«Ho cercato di migliorarmi seguendo la mia personalità: credo che ogni arbitro debba avere una propria identità. Poi, se hai la fortuna di allenarti con dei top come Pierluigi Collina, puoi far tesoro dei consigli oppure osservare i loro punti di forza e farli tuoi» .
Se le dicessero che in Brasile può scendere in campo?
«Lo farei di corsa... Mi manca tantissimo l’adrenalina della gara e tutto quello che precede una sfida importante, ma è inutile guardare indietro. Si hanno belle soddisfazioni anche nel mio nuovo ruolo di allenatore. Diverse, ma ugualmente belle» .