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De Paul, l’ora dell’addio

Tanto tuonò che piovve.
Monica Tosolini

Tanto tuonò che piovve. Rodrigo De Paul, dopo mesi, anni di voci che lo tiravano da una parte all’altra dell’Europa, alla fine lascia davvero il Friuli. E lo fa per tornare in Spagna, dove già era approdato nel 2014 per una esperienza non memorabile. Ma quella era un’altra storia, quella di un De Paul giovane (aveva 20 anni), alla prima esperienza all’estero, calciatore ancora da plasmare e in fase di maturazione come giocatore e come uomo. Al Valencia è rimasto un anno e mezzo, poi è rientrato nella sua Avellaneda per rigenerarsi.

L’Udinese aveva già capito il suo potenziale e da lì lo ha riportato in Europa. Era l’estate del 2016, quella iniziata con Beppe Iachini in panchina, presto sostituito da Gigi Delneri. La panchina dell’Udinese non trovava pace e Rodrigo, come i suoi compagni, cercava di adattarsi ai continui cambi di guida tecnica tentando di trarre gli insegnamenti migliori da ognuno, per crescere e diventare il grande giocatore che ora è davvero. Iachini, Delneri, Oddo, Tudor, Velazquez, Nicola e Gotti: tutti, in un modo o nell’altro, gli hanno lasciato qualcosa. Gotti, probabilmente, più degli altri: con lui è arrivata la consacrazione. 

Ha interpretato diversi ruoli, ha imparato a giocare per la squadra, a sacrificarsi, a prendersi la responsabilità di indossare la fascia di capitano. E’ stato un percorso lungo, non facile, dribblando avversari in campo e critici fuori. Il feeling con Udine non è stato immediato, vuoi per la naturale diffidenza di questo popolo, vuoi per quel gesto eclatante di volere subito indossare la maglia numero 10 che fu di Totò Di Natale. Alla fine il tenace Rodrigo, che si è comunque sempre comportato da vero professionista, è diventato il campione che voleva essere, il modello per ogni giovane che guarda alla parte più bella del calcio.

Siamo davvero ai saluti. Udine non può che dirgli grazie. Grazie per il giocatore che in campo ha sempre dato tutto, per il ragazzo che ha sempre rispettato la società e i suoi tifosi. Grazie per le parole non dette anche quando la delusione per cessioni sfumate (e ce ne sono state) poteva mandarlo al tappeto. Da quelle, invece, ha saputo trarre maggiore energia e ‘garra’ per proseguire nel suo percorso di crescita che a Udine si è completato. 

E’ giusto che ora si misuri con una realtà calcistica diversa, top, quella a cui ha sempre puntato e che si è meritato sul campo e fuori.

A noi tutti non resta che augurargli il meglio e continuare a tifare per lui. E’ giusto così.

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